Dialogo sulle orme di Li Madou (Edizioni Ephemeria, Macerata 2010)
Autore: Gian Mario Maulo
Illustrazioni: Carlo Iacomucci
(copie a disposizione della famiglia su richiesta)
SULLE ORME DI LI MADOU di Carlo Di Cicco*
Matteo Ricci è stato un grande promotore dell’amicizia come stile missionario. Lo hanno definito pietra miliare nel processo di inculturazione del Vangelo e primo ponte culturale tra Oriente e Occidente. Una figura di cui si sente molto bisogno anche ai giorni nostri.
La raccolta di poesie di Gian Mario Maulo dal titolo “Dialogo” si muove sulle orme di Matteo Ricci, suo eccezionale conterraneo. Con la poesia, strumento disarmato, flessibile. Materia delicata, a volte controversa, nella quale l’autore ha già dimostrato di muoversi con personalità e visione aperta del mondo e delle aspirazioni umane. La poesia, infatti, è questione di cuore che filtra la conoscenza del presente mescolata al mondo dell’inconscio, alle idee strappate al buio della caverna platonica e che richiede lenti speciali per leggere e raccontare la realtà senza separarla dai sogni. E’ arte e, dunque, dono che trasforma parole innocue in magie. La poesia, come ogni arte, è capace di esprimere grovigli di sensazioni altrimenti indicibili. Passioni e sentimenti sono la “selva selvaggia, aspra e forte” entro la quale tutti gli umani si aggirano cercando la “diritta via” e il senso definitivo delle cose. Il poeta, nel nostro caso, conserva lo spirito francescano nel momento stesso che svela il disincanto della nostra condizione lacerata dal dolore, assetata di speranza, scossa dall’interrogativo ineliminabile che turbava il principe Amleto. Egli osa ripetere a Dio stesso la scomoda domanda che ha tormentato le vittime della Shoah: dove sei o Dio?
“So che ogni giorno si attende una notizia”, si legge in una delle ottanta poesie – qui contenute – che punteggiano una ricerca ininterrotta di senso, dalla prima giovinezza alla piena maturità dell’autore. Quando la vita si fa notte che a volte può sembrare senza aurora, inutile attesa, Maulo non si rassegna a non sperare: forse una notte sorgerà il sole e le leggi che assicurano caducità al tempo potrebbero essere sovvertite. La parola forbita, scelta, limata, varia, viene utilizzata per comunicare emozioni percepite e vissute nella vita quotidiana, vita comune. Sia nell’età giovanile carica di turbamenti di attese per quello che potrebbe essere il nostro futuro prossimo, vissuto tra la nascita e la morte; sia nell’età matura per scrutare - dopo la ricerca lunga una vita – il nostro futuro oltre la vita carnale. La stagione del fare e dell’indomabile moto tipica della gioventù, nelle poesie di Maulo, confluisce intatta nella stagione della contemplazione, dove si percepisce il desiderio crescente di incontrare qualche “Tu” altro in grado di garantirci che non tutto di noi morirà e che il nostro obbligato passaggio nelle diverse fasi di vita non è stato vanità inutile. “Ora – recita la composizione finale – mi trovo/sulla soglia nuda/solo/in attesa ad invocare”.
Lo schema racchiuso nel “Dialogo” dell’autore è lineare: le tre parti della raccolta, “Pellegrino”, “Tendo le mani”, “Prima luce”, segnano nell’ordine - anche stilistico che va affinandosi con lo scorrere degli anni e delle pagine - il progredire della ricerca iniziata nel 1962, a diciannove anni.
Un percorso dell’andare umano alla ricerca del senso nascosto nel sapere e nell’amare, nel vivere e nel morire, nell’inquietudine e nella finitudine che scava senza sosta il cuore e la mente di noi mortali. Un passaggio graduale dal tutto e subito, inseguito come possibile miraggio agli inizi, alla capacità di trattenere saggiamente per sé le poche cose che contano, lasciando al vento la pula di sogni e aspettative appariscenti, sfiorite nel tempo. Stille di saggezza di Matteo Ricci, si ritrovano dense e condivise dall’autore che con la sua poesia ne certifica l’attualità e la validità in ogni regione della terra, oltre le colline maceratesi, ispiratrici di poetici incanti.
In simbiosi interdisciplinare tra le arti, le poesie prendono corpo visivo nei sedici acquerelli dell’artista Carlo Iacomucci sui luoghi ricciani di Macerata e sui principali personaggi incontrati in Cina.
* Vicedirettore de L’Osservatore Romano
IL SEGNO DI IACOMUCCI PER MATTEO RICCI di Stefano Papetti*
Sfruttando le doti mnemotecniche apprese durante l’alunnato romano presso i Gesuiti, padre Matteo Ricci stupì i sapienti cinesi dimostrando loro di conoscere quattrocento ideogrammi, gli stessi che Carlo Iacomucci fa volteggiare nei cieli delle sedici tavole che ha realizzato per accompagnare le poesie di Gian Mario Maulo.
Le immagini concepite dal pittore maceratese, più che un convenzionale omaggio a Matteo Ricci nel periodo in cui ricorrono i quattrocento anni dalla sua morte, costituiscono il diario di un viaggio che da Macerata ci conduce sino in Cina, nella Città Proibita, dove il gesuita marchigiano ebbe solenne sepoltura.
I cieli della fantasia dipinti da Iacomucci sono solcati da ideogrammi e da gocce di pioggia che sovrastano i luoghi dell’antica città che Matteo Ricci frequentò da ragazzo ma, nel segno di una continuità grafica e geografica che attraversa mari e continenti lontani, ritroviamo i medesimi simboli anche nei cieli d’Oriente, a sottolineare il ruolo di mediatore culturale svolto dal sacerdote maceratese.
Il segno di Iacomucci, nella sua nitida e rigorosa chiarezza, soddisfa bene la volontà didascalica che presiede questa iniziativa culturale: l’eleganza dei maestri orientali, che tanta ammirazione suscitò nei pittori europei del XIX secolo, si rispecchia negli acquarelli dell’artista, richiamandone certi raffinati preziosismi grafico-pittorici.
Questo stile che fonde la rarefatta semplicità dell’arte orientale con le capacità descrittive di quella occidentale, si attaglia bene ad esaltare i temi di carattere interculturale rappresentati da Iacomucci e può ben accompagnare i contenuti del trattato “Sull’amicizia”, il volume di Matteo Ricci che tanti consensi gli valse presso l’intellighenzia cinese.
Con le parole del gesuita marchigiano si potrebbe dunque dire “Se nel mondo non vi fosse l’amicizia, non vi sarebbe gioia”, la gioia di esistere che traspare anche nelle creazioni di Iacomucci.
* storico dell’arte
UNA PAROLA CHE INVOCA di Gian
Mario Maulo
La parola scarna ed essenziale e l’invocazione immanente ad ogni lirica conferiscono a questa antologia poetica un ritmo ed un alone orientale insieme ad un’interiorità e una problematicità tipicamente occidentali.
La tensione cosmica, la nostalgia del totalmente Altro, la relazione con il ‘Tu’ si fanno stile e modo di plasmare la parola musicale e pittorica.
Una parola che si volge alla ricerca del mistero, dentro e al di là delle cose: dal verso traspare la gioia per le creature, l’amore per la vita, la cifra di una realtà più alta, il rinvio, la percezione del Tutto nel frammento, sulle orme di passi inattesi che segnano un cosmo incompiuto; da voce che viene dall’esilio la poesia tramuta in luce dalla terra promessa; l’attesa si volge in speranza; il nomade diventa pellegrino che raccoglie semi di gratuità, di stupore, di meraviglia, di utopia, lungo il cammino; l’interpretazione diventa invocazione, in quel punto focale in cui l’evocazione e la metafora manifestano il loro limite.
Sulle orme di Padre Matteo Ricci, che per decifrare una cultura lontana come quella cinese si è appassionato a scandagliarne la lingua, trovando nei suoi ideogrammi i segni per annunciare la Parola.
Questa Marca ha dato i natali a santi e missionari, viaggiatori e cultori dell’Oriente: il Beato Tommaso da Tolentino, P. Matteo Ricci, P. Carlo Orazio da Castorano, P. Francesco Orazio della Penna, P. Costantino da Loro, P. Cassiano Beligatti, Antelmo Severini, Giuseppe Tucci.
P. Matteo Ricci, in particolare, con una intuizione profetica per i contenuti culturali e soprattutto per il metodo di inculturazione, ha lanciato un ponte fra Occidente e Oriente: e mentre in Leopardi il fascino dell’Oriente sarà vissuto ancora come ricerca inquieta, con Giuseppe Tucci esso diventa rigorosa e scientifica scoperta di un ‘nuovo mondo’. Siamo agli inizi di una storia che viene da lontano, ma si apre verso un orizzonte che si muove con noi: l’esotico diventa parte del nostro quotidiano, l’arcano si dipinge di trasparenza, il lontano si fa voce che interpella, l’altro è parte di noi.
Un percorso aperto, quindi, non una frontiera: l’anima contemplativa della nostra ‘terra delle armonie’, l’orizzontalità aperta delle colline, quell’abitare diffuso sul territorio che consegna ancora l’uomo alla natura, la sua religiosità distesa sui ritmi del tempo e dello spazio, invitano a guardare ‘oltre’, ad allargare il cuore alle dimensioni del mondo, ad un dialogo che apre all’Altro.
Il viaggio di Padre Matteo Ricci nel cuore della grande Cina, alla radice di due culture che si interpretano, é un cammino verso il mistero, che si rivela nel profondo della parola, dove le lingue si comprendono e i percorsi religiosi si incontrano.
Queste liriche costituiscono un pellegrinaggio dell’anima alla radice della parola, al limite fra infinita distanza e comunione, fra estraneità ed immedesimazione, fra alterità ed identità, fra assenza e presenza, fra ricerca e incontro, fra evocazione ed epifania, fra orizzontale e verticale, verso il mistero del Totalmente Altro.
In quel punto focale si chiarificano il Sé e l’Altro, le culture si sporgono verso l’ Alfa e l’Omega del cosmo, nasce l’invocazione.
Gli acquerelli di Carlo Iacomucci, con il
loro intenso cromatismo, segnato da ideogrammi essenziali, donano luce e prospettiva ai testi, mentre ricostruiscono i luoghi natali che hanno dato l’impronta al grande
saggio dell’Occidente e fanno memoria
dei momenti più significativi della sua missione in Cina.: a quattro secoli di
distanza il messaggio di dialogo e il
metodo di inculturazione di Li Madou
costituiscono una profezia per il villaggio globale.
Macerata 11 maggio 2010
IV centenario della morte di P. Matteo Ricci a Pechino